giovedì 24 settembre 2015

PRESENTAZIONE DEL ROMANZO “L’AMAPOLA DELLA SIERRA MADRE, DI PIETRO CORSI


Gabriella Iacobucci, Pietro Corsi, Mariella Di Brigida
(Casacalenda, 11 agosto 2015)                               

di GABRIELLA IACOBUCCI

                                                                

PREMESSA

Sono passati vent’anni anni da quando lessi  La giobba di Pietro Corsi, e da allora ho avuto tra le mani più o meno tutti i suoi libri, a volte ancora in forma di manoscritto. In questi giorni ho ripensato a quei libri,  a tutte quelle storie riportate dal mondo, e al grande valore di una produzione così ricca e varia, valore che va al di là di quello puramente letterario.  Consentitemi di fare una piccola  digressione storica, per arrivare al 1992, anno in cui feci il mio primo viaggio in Canada per una Settimana della Cultura Molisana.


So che ce ne sono state altre, ma quella Settimana fu particolarmente significativa, perché per la prima volta nata dalla consapevolezza che era giunto il momento di far uscire il Molise dall’isolamento ricollegandolo al più grande Molise disperso dall’emigrazione in tutti i continenti, di creare una sinergia con le migliaia di molisani impegnati nell’industria, nella politica, nella cultura, nell’arte in tutto il mondo. Infatti al termine della Settimana, dopo una serie di incontri e dibattiti con  rappresentanti delle istituzioni, delle associazioni, delle università, della stampa, della letteratura, fu fondato il Coordinamento dei Molisani nel Mondo con sede a Toronto. Tornando a quella settimana, essa fu una vera scoperta , non solo  di un mondo, quello dei nostri emigrati, che per me era rimasto fermo nel tempo e che invece  era totalmente cambiato,  ma soprattutto, quella di un’infinità di storie  ̶  in forma di romanzi, racconti, poesie, saggi, autobiografie  ̶  che i figli dei vecchi emigrati e quelli venuti dopo avevano scritto e di cui non sapevo. Storie che raccontavano quello che era successo dopo la traversata dell’oceano, storie di lavoro, di disoccupazione, di successi, di solitudine, di nostalgia,  di spaesamento.  E fu  attraverso la lettura di queste storie che potei conoscere quel mondo, sapere quello che nessuno aveva mai detto.

  Fu in quell’occasione che conobbi Nino Ricci, Giose Rimanelli e Pietro Corsi (che con me fece  parte  del Coordinamento), con il quale in particolare si stabilì un legame di collaborazione e amicizia che dura ancora oggi.

Alla luce di queste considerazioni, è evidente quale sia il  valore che attribuisco ad autori come Pietro Corsi. Raccontano  l’altra metà della nostra storia, quella che per noi si era interrotta nel momento in cui tanti erano partiti per attraversare l’oceano e che, pur appartenendoci,  non si trovava nei nostri libri. Nel caso di Pietro, inoltre,  la particolarità delle vicende della sua vita, la varietà dei paesi  e delle culture con le quali è venuto a contatto, sono state per lui  - ancora oggi lo sono -  una fonte inesauribile di ispirazione.

 Dopo il Canada, quindi, la mia attenzione era concentrata sulle storie di emigranti  e,  anche nei romanzi di Corsi, mi attiravano quelli i cui protagonisti erano gli emigranti, come il contadino Onofrio Annibalini de La Giobba, o il missionario Padre Piperni de L’ambasciatore di don Bosco, oppure  quelli ambientati a Casacalenda, che tra partenze e ritorni   sembrava un paese di frontiera. Avevo dedicato meno attenzione  ai romanzi messicani, come Ritorno a Palenche, Sweet Banana, Lo sposo messicano, scritti dopo il suo trasferimento in Messico e il suo matrimonio. Abituata a sentire Pietro dire che Casacalenda era la sua vera casa, non avevo  pensato che il Messico era l’altra sua patria. Solo dopo ho riflettuto sul fascino che questo paese doveva aver  esercitato  su di lui, sull’importanza che aveva avuto  la scoperta degli autori latino americani,i quali in quegli anni giunsero anche in Europa con romanzi di grandissimo successo. Chi non ha letto o non ha  sentito parlare di  Gabriel Maria Marquez  e del suo romanzo Cent’anni di solitudine?  Il  romanzo  Il morbo dell’ozio, del 1994,  trasferisce nel paese di Casacalenda, Kalena, il realismo magico di quella narrativa.  Avevo considerato distrattamente, dicevo,  questi romanzi  ispirati al Messico, non considerandoli la vena più autentica dello scrittore.  Adesso so che una parte più segreta della sua anima aveva trovato  in quel  mondo diverso, pervaso dallo spirito della natura, la realizzazione di  un paradiso possibile ormai da noi perduto.  E’ il mondo  descritto  nel romanzo  L’amapola della Sierra Madre.

 Iniziato nel 2001, il romanzo è stato completato solo ora, quindi mi offre l’occasione per ripensare allo scrittore con una consapevolezza diversa.

IL ROMANZO

Il romanzo si divide in due parti intitolate la prima La rosa dei ricordi, la seconda Il fiore di gomma. Due fiori, ma molto diversi. Il senso simbolico dei due titoli lo scoprirete voi stessi.
La storia è  narrata con uno stile piano e seducente; italiano e spagnolo, che si alternano con naturalezza nel racconto, oltre che dare una connotazione linguistica particolare, esprimono anche la perfetta integrazione delle due culture nella personalità e nella scrittura di Corsi. Abile la costruzione delle vicende.  Dopo un primo capitolo in cui un colpo di scena crea le premesse del racconto, con una tecnica cinematografica di cui  lo scrittore è padrone (forse le tante traduzioni di sceneggiature hanno avuto il loro peso), l’autore fa un passo indietro per cominciare dall’inizio, come in un lungo flash back:
 Alla fine di un lungo viaggio tormentoso su un vapore dove si è imbarcato come clandestino per andare a  San Francisco, in California, il contadino piemontese Bartolomeo Finzi con i suoi due figli viene lasciato su una spiaggia sconosciuta del Messico.  Qui i tre vengono accolti  e curati dalla gente del posto, i contadini delle terre del Sàbalo, e Bartolomeo si conquista presto la fiducia del padrone don Ramiro, il quale lo nomina suo mezzadro e in pratica gli affida la conduzione della sua sconfinata proprietà. Bartolomeo, diventato lì don Bartòlo, grazie alla sua esperienza e alle sue capacità, non ultima quella di rabdomante con cui trova nuovi pozzi, riesce a rendere quelle terre ancora più prospere e ricche.

La storia continua con la descrizione di questo mondo nuovo e  meraviglioso quale appare agli occhi di Bartolomeo, un microcosmo in cui uomini, animali, piante, cose vivono a stretto contatto tra loro e nascita, amore, morte seguono le leggi della natura.  Racconta la vita che si conduce in questa piccola società  chiusa, regolata da leggi non scritte, ma dove ognuno svolge il proprio compito e regna l’armonia.

 La narrazione prosegue suadente come una favola, e,  come nelle favole, la realtà esterna sembra rimanere fuori da questo mondo. Dei tumulti e delle atrocità della storia qui giunge solo l’eco. Grandi vicende accadono sullo sfondo, soffiano dall’Europa i venti di guerra, divampa la rivoluzione, marcia l’esercito di peones  di Pancho Villa e Emiliano Zapata, si fa la spartizione delle terre. Ma è evidente  lo scetticismo dell’Autore nei confronti delle illusioni di giustizia e progresso sociale che le rivoluzioni e i cambiamenti politici rinnovano ogni volta. “I governi non cambiano mai, anche quando la gente dice che sono cambiati”, dice il mendicante indio a Città del Messico quando Don Bartòlo gli chiede dov’è il Palazzo del Governo.  In realtà la vita del mondo contadino  resta la stessa, legata all’avvicendarsi dei giorni e delle stagioni della terra, qui come a Casacalenda.    

Personaggio chiave della storia è Abuelita, una vecchia maga e guaritrice dall’età indefinibile, si dice addirittura che sia stata la compagna di Hernan Cortez,  il conquistatore dell’impero degli Atzechi, “depositaria di tutti i segreti del mondo” e conoscitrice delle virtù delle erbe. Dai suoi consigli dipendono tutti gli abitanti del Sabalo. Abuelita ha profetizzato che l’amapola, ovvero il bellissimo papavero con cui si curano tanti malanni, sarà la causa della rovina di quel mondo “ il suo polline traditore un giorno non lontano procurerà ricchezze proibite e causerà la rovina del Sabalo e del mondo intero”.

Sono tanti gli aspetti del romanzo su cui soffermarsi, di alcuni parlerà la mia collega, gli altri non voglio togliervi il gusto di scoprirli durante la lettura.  Uno in particolare mi ha colpito. (E non dite che ho pensato all’EXPO!) la presenza importante delle immagini pittoriche del cibo, dei frutti tropicali, delle  coltivazioni nella narrazione di Corsi. L’Autore, vibrante ma  contenuto quando tratta di descrivere passioni e sentimenti dei protagonisti, si abbandona rapito alla descrizione di questa natura lussureggiante. La tavola, il cibo, i frutti della terra, sono un soggetto ricorrente nella rappresentazione pittorica, letteraria, cinematografica di tutti i tempi. Ultimamente, nel cinema,  ha sostituito come elemento erotico il sesso.

 Nelle esperienze di vita e di lavoro di P.C. il cibo, la tavola hanno avuto un posto di rilievo. Prova ne sia il numero di libri scritti sull’argomento, specialmente durante la sua attività con le compagnie come la Princess Cruises. Non solo il cibo fastoso dei ristoranti delle navi da crociera, ma anche e soprattutto quello semplice della cucina di casa, legato ai riti familiari. Come quello che racconta nel romanzo Omicidio in un paese di cacciatori, quando descrive la cerimonia della pasta e fagioli attentamente allestita  il venerdì dalla madre e a cui è preposto come sacerdote il padre.

Nell’alimentazione quotidiana del Sabalo sono i frutti tropicali a  occupare un posto predominante, anzi  sono proprio questi frutti sconosciuti, offerti al contadino Bartolomeo Finzi appena giunto, a dargli l’impressione di trovarsi in un mondo diverso.”Dai panieri venne fuori ogni sorta di cibi… frutta che non avevano mai visto in vita loro… c’erano delle verghe gialle lunghe con striature di verde …platanos,  una grande palla capellosa che Crispin col machete spacca in due… una zucca che non era zucca, sembrava melone, era papaya..”.
La colazione, con i succhi di frutta che prepara la giovane moglie (pag. 158).  
Quale funzione svolgono queste descrizioni  nel romanzo? Ha una funzione pittorica, premesso  che qui sulla tavola predominano le forme sensuali e i colori accesi dei frutti tropicali, racconta l’accudimento, (vedi la elencazione dei vari tipi di erbe usate dalla moglie per le tisane del marito a pag 127) e l’ospitalità. Simboleggia il Paradiso terrestre  prima del peccato originale. 


IL FIORE DI GOMMA

 Nella seconda parte del romanzo, intitolata appunto IL FIORE DI GOMMA (la materia gommosa da cui si ricava l’oppio),  la profezia di Abuelita  si mostrerà vera. Don Bartòlo, partito per un giro di perlustrazione  alle pendici della Sierra Madre, scopre che anche le sue terre sono diventate zona di rifornimento per  i trafficanti di eroina. La conclusione tragica del romanzo  sembra  preannunciare la fine di quel mondo gentile che aveva affascinato Bartolomeo Finzi, e l’inizio del mondo moderno.  


E CONCLUDO

All’inizio del romanzo, Bartolomeo Finzi stupito osserva  il  piccolo mondo  pulito, semplice, onesto, del Sabalo, ” […] Ognuno aveva il suo compito e non doveva preoccuparsi del compito dell’altro. Il commercio si perpetuava nel miracolo di un’onestà assoluta senza che nessuno avesse bisogno di libri contabili o dovesse preoccuparsi di scadenze. Proprio per questi miracoli di onestà don Bartolo stesso non aveva mai dovuto preoccuparsi d’altro che non riguardasse la buona produzione agricola e artigianale. …. Il mais era sempre più abbondante, i fagioli del Sàbalo i più belli del mondo, i più neri che si fossero mai trovati sui banconi dei mercati, i pomodori grossi carnosi e senza macchie, le cipolle screziate di azzurro e di rosso come la porcellana cinese non avevano niente da invidiare a quelle più famose della Spagna e dell’Italia e l’aglio veniva scrupolosamente essiccato al sole e poi legato in ventiquattro teste per ogni filo.[…]” . Basta leggere questo passo,  per capire che  l’Autore sta  descrivendo la sua società ideale e gli effetti del Buon Governo.

La storia dell’amapola, invece, che offre la sua bellezza e le sue virtù medicamentose, e che a causa dell’avidità umana  si trasforma in strumento di morte,  è la metafora di una società  che un perverso rapporto  dell’uomo con la natura porta alla rovina...

Ma soprattutto il romanzo racconta il rimpianto dello scrittore per un mondo perduto quale poteva e doveva essere, e quale non è più, neanche forse nel suo amato Molise.
Una favola amara, forse, ma sempre, come tutte le favole, bellissima.
Gabriella Iacobucci©2014 – Tutti i diritti riservati


Intervista a Pietro Corsi (ciccare sul seguente link)





3 commenti:

  1. Non ho ancora avuto modo di leggere quest'ultimo romanzo di P. Corsi, ma la recensione di G.Jacobucci, così appassionata e profonda, invoglia sicuramente a leggerlo. Jacobucci intreccia con sapienza il passato da emigranti dei molisani, che tanta parte ha avuto nella ricca e multiforme esperienza di vita e letteraria di Corsi, con l'analisi di quest'ultimo romanzo, innervandovi, elemento non secondario, il significato metaletterario sotteso a tutta la narrazione. Davvero brava! Rita Frattolillo

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    1. grazie, Rita, per aver lasciato un commento. I giudizi positivi fanno sempre piacere, ma è una fortuna essere letti e capiti da una persona dotata di sensibilità critica ed esperienza letteraria come te.

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  2. Carissima Gabriella, ti ringrazio per le tue parole, per me molto gratificanti, e ti dico che è una fortuna anche conoscere e confrontarsi con persone come te, capaci di invogliare al piacere di una buona lettura. E Dio sa se ce n'è bisogno.

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